“Con Nuove Liturgie desidero ricostruire un luogo nel quale raccontare gli aspetti paradossali che accompagnano lo sviluppo dell’identità. Nell’immaginarlo ho sentito la necessità di rivolgermi con ironia e giocare con alcune icone ed espressioni artistiche che hanno partecipato allo sviluppo dell’arte in Occidente. E poiché l’arte ha spesso contribuito in modo significativo a diffondere forme di culto, mi divertiva l’idea, sebbene se ne ricavi quasi un ossimoro, di assumere un approccio religioso alla laicità per costruire un tempio dove il culto o la narrazione fossero però altro: non la certezza data da una Fede, ma i dubbi e i conflitti ai quali la Realtà, con i suoi Sguardi, ci espone per poterci individualizzare.
Parafrasando Hanna Arendt: senza una storia ma soprattutto qualcuno che la narri noi non sappiamo chi siamo: c’è, quindi, bisogno della presenza dello sguardo dell’altro. Un bisogno che si fa poi motore del desiderio di un’epifania dell’identità. Ma lo sguardo dell’altro è sempre parziale e può generare conflitti o richiedere una negoziazione: nell’esplorare se stessi, attraverso gli altri, il rischio di un naufragio può essere davvero concreto.
In questi lavori ho privilegiato l’uso della sabbia: un materiale che ha la capacità di ricordarci quanto sia effimera l’idea del raggiungimento di una condizione di stabilità, e il cui portato simbolico si presta per raccontare quella condizione in continuo divenire che è propria dell’identità. Nel tentare di “coprirsi” per proteggersi dalla propria fragilità, il nuovo abito diventerà una “pelle” e in seguito persino il contenuto stesso. Perciò, è corretto chiedersi, guardando a questi miei lavori, se essi siano interamente fatti di sabbia oppure raccontino di oggetti ricoperti di sabbia. Il dubbio è essenziale perché questa ricerca artistica e di linguaggio abbia un senso. Ma c’è anche un’altra domanda altrettanto pertinente: la nostra identità si sviluppa per sottrazioni o per stratificazioni?
Non di meno il pigmento, come la sabbia, è una materia che per la sua stesura richiede un approccio fisico, un contatto diretto, tattile, con la composizione. Diversamente dai lavori con la sabbia, le figure antropomorfe protagoniste dei disegni, sono nude o quasi scarnificate, sospese nello smarrimento, in una ricerca di senso.
Nel percorrere questa mia installazione non resta che pensare a una Cerimonia che celebri l’acquisizione di una nuova ipotetica consapevolezza. La liturgia la lascio ora immaginare a voi: mi raccomando però, non prendiamoci comunque troppo sul serio.”
Tiberio Grego
Scrive il critico d’arte Simone Azzoni
L’opera è la forma della sua presenza in mezzo al pubblico. Tiberio Grego agisce sullo spazio con un opus alchemico che riconfigura prima il tempio e poi il White Cube. Lo spazio bianco della galleria, esonerato dai flussi della cronaca e della vita, declina il suo ruolo meditativo a-temporale per farsi crogiolo della dissoluzione e della trasformazione dei materiali. Se il bianco si fa albedo, lo spazio si orienta alla dimensione sacrale del tempio, luogo di una trascendenza che dalla primordialità della caverna si fa verticalità: totemico segno di una religo balbettante e incerta.
Morte e resurrezione, maschera e iconologie confessionali, si ricreano passando dal loro svuotamento segnico. In questo abbandono della rappresentazione e figurazione, emergono grumi, macerie materiche, coaguli disposti per arcane adorazioni. Nella loro fissità lo sciamano-artista cerca eternità e bellezza. Sulla sabbia lascia un segno l’uomo che troppo ha creduto in ciò che è destinato a essere fantasma, immagine precipitata negli abissi di un’identità dissolta.
Qui s’incontra una natura non metamorfica o ibrida, ma allargata. L’artista ha disarcionato le cose dall’uso edonistico. Anche il possesso, dello sguardo e delle mani è la possibilità di un nuovo rapporto con il mondo. Il tempio in fondo “serve” a questo: ripensare l’opera come durata da sperimentare. Qui si rivede l’opera -propizia all’espressione di questa civiltà della prossimità -come forma dell’inter-soggettività consacrata da una nuova trascendenza.
Tiberio Grego. Artista. Nella sua ricerca ha rivolto la sua attenzione in modo particolare al tema dell’identità. Nato nel 1966, ha partecipato a diverse mostre d’arte contemporanea e festival cinematografici, tra gli altri è stato premiato al Reggio Film Festival (2006), è stato finalista per i Nastri d’Argento (2007) e ad Arte Laguna Prize (2010). È autore di Ti chiamerò così edito da La Bussola (2022).