il Segreto della Sposa
“In questa esposizione veneziana, Battistella propone al pubblico un percorso narrativo che evidenzia, in primis, la sua rara grazia stilistica: una pittura consapevole – lei che viene da una famiglia d’arte, eredita la pennellata luminosa e lo sguardo vigile e visionario di chi sa guardare attraverso lo specchio del reale – e un garbo spaesante, che travolge la classicità domestica e rassicurante ( anche della pittura stessa ) per precipitare chi la osserva nell’incertezza, nell’abisso dell’incanto.
Ci troviamo innanzitutto davanti a una grande installazione, chiave di volta dell’intero allestimento: un abito cerimoniale la cui forte valenza rituale si rispecchia – tornerà più volte a visitarci il tema dello specchio nella produzione artistica della pittrice – in un levare, nel canto dei dipinti che gli ruotano attorno, e che formano quasi un coro tragico.
La veste è polo simbolico, oggetto sacro e organico: merletti barocchi sgualciti, maniche senza braccia, elementi gommosi che ricordano tentacoli meccanici, ricami che tratteggiano le antiche cicatrici della trama; ma più ancora: alchemiche, misteriose, seducenti simbologie, segni misterici che fanno della veste il luogo sacrificale.
Il rimando che parte da quest’opera, per allargarsi a tutti i dipinti, di cui diremo più tardi, è senz’altro nell’omonimo dipinto di De Chirico “Il segreto della sposa” e ancor più nel celebre illusionistico di Ernst “La vestizione della sposa”. In tutte e tre le opere ( cfr. Battistella, De Chirico ed Ernst ) una tecnica tradizionale – per Battistella è anche la sartoria – viene applicata a un soggetto incongruo o sconvolgente.
Come a dire: il segreto della sposa in Battistella è la sua assenza. Se i nostri occhi sono lo specchio del reale, i suoi dipinti rispecchiano invece l’assoluta mancanza di vita: nessun volto, nessun corpo, mai una presenza viva. Solo oggetti “abitati”, segnati da una carne metamorfizzata, evaporata, assurta al regno delle ombre. Eppure viva, talmente viva da dare la vita anche agli oggetti inanimati.
Così, il corpo vuoto e inaccessibile della sposa è rintracciabile nella sua veste sacrificale. Rispondono a questo segreto sacrificio – assertivi e in coro – tutti i dipinti, nel trionfo della loro simulazione: i soggetti dell’autrice si inscrivono in classiche composizioni pittoriche del passato ( i fiori, le nature morte ) e fanno da perturbante “corredo” alla sposa: in alcuni casi potrebbe anche trattarsi di un bouquet di rose se non fosse per quella straniante sorgente luminosa, una misteriosa luce senza origine – che rende tutto desueto, vertiginoso.
Nei dipinti di Battistella tutte le cose sono antiche e vive: portano il segno della vita e della morte, della trasmutazione, segni striscianti della muta dopo la rinascita. Sembrano muoversi, abbacinante fata morgana; come quando inciampiamo in un termitaio e quella miriade di insetti immobili, che non avevamo visto, dissimulati com’erano tra foglie e terra, improvvisamente prendono vita, cominciano a ondeggiare, a muoversi. E col loro movimento deformano la visione, una visione che ci affascina e atterrisce.
Prassi che Sigmund Freud inscrive in quella tensione prospettica tipica del perturbante: attitudine che si sviluppa quando una cosa viene avvertita come familiare e allo stesso tempo come estranea e incongrua, procurando un duplice movimento confuso: di angoscia e seduzione.
Amplifica la vertigine e sigilla il percorso il quadro realizzato su masonite “Je suis là”, dove finalmente un’apparizione umana – si intravedono i seni, la chioma, le braccia spalancate e pronte alla resa – volteggia consapevole, quasi planasse a terra, dove ad attenderla c’è una bestia dal grande occhio spalancato.
Perché il segreto della sposa è nel divorare e nell’essere divorata.
Barbara Codogno
Si può iniziare dalla poesia per parlare di pittura? In certi casi è necessario, non se ne può fare a meno: – “ È come / una ripartenza / da una campitura / di assenza / la parola / si è fatta presenza. / Tutto travolge / inonda, e tu / debole sponda ”. Cristiana è ripartita, non poteva che essere così. Ha aspettato l’onda e non ha potuto opporsi e come debole sponda si è fatta travolgere. È ripartita con la sua voce gentile, nel segno della continuità, con la sua poetica dell’attesa, del silenzio, della meditazione, con la sua cultura della quiete ritrovando la musicalità del suo paesaggio interiore. Cristiana non è mai stata una pittrice del molto ma piuttosto una cultrice del poco. Ha sempre focalizzato la sua attenzione su uno o due oggetti isolandoli dal mondo circostante. Oggetti che in questi ultimi lavori si allungano assumendo sembianze quasi di articolazioni ossee, steliformi, sempre caratterizzati da un insicuro stare. Il colore subisce la stessa sorte. Una scelta mistico- orientale anche questa. Il solo celeste, il rosso il grigio dimostrano che si può dire molto anche con poco. Ma bisogna sapere ascoltare in silenzio i piccoli scarti emozionali che ci dicono grandi cose.
I suoi quadri sono un equilibrio di forza e fragilità. La forza che esprimono i colori e la fragilità delle forme. Lasciamoci attrarre dalla debolezza di gravità. In fondo siamo corpi sospesi che si librano nell’aria indifesi. Cristiana è rimasta a letto, suo malgrado, per un lungo periodo di tempo ma Lao Tze diceva “Non uscendo dalla porta si conosce il mondo. Non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo” .
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Quando mi libero di quello che sono, divento quello che potrei essere.
Lao Tzu
Le opere di Cristiana Battistella raccontano paesaggi di rara intensità emotiva, delineando mondi onirici e rarefatti.
I quadri sembrano velati, avvolti da una luce nebbiosa che ne attenua l’impatto. Eppure la velatura del colore non è mistificazione, piuttosto il velo ci “svela” il campo incerto dello sguardo – e della vita – che procede con cautela, quasi in punta di piedi.
Life is told, perché l’abbiamo sentita farsi carne sulla nostra carne, la vita. E farsi ancora notte e poi, di nuovo, aurora.
Il risultato creativo di Battistella ricorda il procedere filosofico di Schopenhauer circa il velo di Maya, un tessuto di fenomeni la cui natura è apparenza.
Compito dell’uomo è proprio quello di squarciare il velo e abbracciare l’essenza; quella verità che è raggiungibile solo attraverso l’esperienza del vivere: la volontà di vivere. Per questo l’apparente e ingannevole compiersi dell’oggettivazione in Battistella ( siamo di fronte ad un albero? a una sedia? una casa? un fiore?) ci naufraga invece verso mondi organici che depistano e cortocircuitano il senso dell’opera stessa.
I rari colori tratteggiano temperature interiori e ci trasmettono una spinta verticale grazie all’allungo con il quale l’autrice deforma gli oggetti inanimati e indefiniti e che assumono, invece, caratteristiche organiche e fisiche: talvolta cellule, altre volte articolazioni ossee, sempre comunque pulsanti una vita sotterranea – la volontà di vivere – e che sembra esistere al di là del concetto formale e morale di vita stessa.
In questi paesaggi misteriosi e immaginifici è bandita la presenza didascalica e agiografica del corpo eppure il paesaggio nel quale ci alluna Battistella non è mai univoco; così gli alberi che compongono la scena – sempre scarna ed essenziale – potrebbero essere ancora ossa, radiografie, grumi cellulari.
Non tanto il corpo nel suo manifestarsi, piuttosto quello che non si vede del corpo: il suo segreto più profondo, il mistero della vita.
Approcciando il lavoro di Battistella percepiamo una sorta di simbolismo organico, un linguaggio estremamente contemporaneo che si palesa come correlazione forte tra la dimensione fisica del paesaggio naturale e quello interiore.
E in qualche modo lo sconfinamento spirituale e ascensionale delle opere ( non a caso si è citato Schopenhauer, il più “orientale” tra i filosofi del ‘900) riverbera anche nell’assenza di luogo definito, approdando sempre a un “alto” paesaggio dell’anima.
Che si fa corpo, carne e ossa e grumo di pensiero.
Così Battistella trasforma la cifra materica del dipinto in una astrazione quasi metafisica, conferendo all’opera una grande elevazione spirituale.
Siamo di fronte ad un paesaggio incerto, riprodotto da una pittura rigorosamente classica.
Le campiture cromatiche leggere, evanescenti, rendono il paesaggio un assoluto, proponendoci luoghi sospesi in una dimensione senza più coordinate.
Addensamenti poetici che coagulano in confini geografici dove l’esplorazione dello sguardo punta allo sconfinamento in verticale.
Un lirismo che non concede alcuna concessione alla presenza antropica. Perché Battistella propone un viaggio iniziatico: da un luogo a un oggetto a un corpo all’infinito. Che è la vita.
O come direbbe, appunto, Schopenhauer: la volontà di vivere.
Barbara Codogno