Giuliana Cobalchini nasce a Cittadella (Padova). Si diploma alla scuola d’arte Grafica Pubblicitaria e Fotografia I.S.A. Fanoli a Cittadella. Successivamente consegue il Diploma Accademico in Arti Visive ad indirizzo “Pittura” e una Laurea Magistrale in “Decorazione” all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Porta avanti un lavoro sia grafico/pittorico che scultoreo, secondo la prassi dell’intercambiabilità tecnica, ed evolve il suo stile artistico riscontrando numerosi consensi. Espone in numerose collettive e personali, partecipa ad importanti concorsi passando spesso attraverso selezioni che riconoscono nel suo lavoro disciplina e studio.
L’artista, vive e lavora a Cittadella.
L’era contemporanea è più che mai caratterizzata dalla comunicazione e dalla diffusione di parole e di immagini: i social network, le chat, i messaggi istantanei, la condivisione in tempo reale di foto e momenti, tutto sembra riportare all’immediatezza e alla velocità di divulgazione veloce e fruibile da ogni persona in qualsiasi parte del mondo, si assiste all’abbattimento dei confini e delle distanze, eppure…
Già, eppure c’è sempre il lato opposto della medaglia, alla diffusione di parole, concetti e immagini manca molto spesso il vero contatto fisico che si crea con la persona, manca il momento di dialogo, mancano il calore e il confronto perché ci si trova davanti ad una strada a senso unico dove chi comunica agli altri spesso si mostra e appare dietro una frase o una rappresentazione e lancia nell’etere un messaggio che sarà recepito o magari perso nel tempo e surclassato da altri messaggi e da altre persone.
È paradossale che, in un mondo fatto di comunicazione e condivisione per lo più mediatica, si noti invece la distanza e la perdita di appartenenza tra le persone che vogliono spartire con altri il proprio pensiero. Che cosa manca nel mondo contemporaneo? Manca, a differenza del passato, il punto di ritrovo fisico che è stato soppiantato dal mondo virtuale e dal web.
Associazioni, scuole, caffè letterari, cineforum, sedi di partito, riunioni, patronati, salotti sono stati luoghi di scambio di idee, di confessioni, di visioni sul futuro, di meditazioni sul passato, di confronto per il presente. Spesso rimangono esempi legati a un recente trascorso fatto di voglia di conoscere, di ribellione e di autentica partecipazione all’attualità, questa antica verve si è un po’ appannata nel tempo e lo sguardo rivolto tra interlocutori si è sostituito nel fissare lo schermo di un pc o di uno smartphone, il legame umano è stato soppiantato dal legame tecnologico che ha creato spesso degli ibridi umani capaci di rinchiudersi in se stessi illuminati solo dalla luce del proprio strumento di comunicazione. Eppure… già, eppure qualcosa viene a mancare anche nel perfetto mondo ordinario fatto di comunicazione digitale e globale, dove le barriere sembrano abbattute e tutto si svolge nell’arco di un click in un’interazione sociale che passa attraverso la rete mediatica.
L’uomo comune si è evoluto passando dall’anonimato al mondo dei reality show ed ha imparato a lasciare il segno anche attraverso canali social e mezzi come Youtube, talent show, webcam varie in cui si prendono perfetti sconosciuti e si trasformano in “star da camera”, senza dimenticare il passaggio avvenuto dall’autoritratto al selfie, dove la realtà è edulcorata e falsata per ricercare un’egocentrica (auto) affermazione collettiva.
Eppure…, eppure la voglia di incontrarsi, di parlare e confrontarsi ritorna sempre più perché è un’esigenza voluta e sentita dal singolo essere umano che ha un’urgenza, quella di prendere atto con il raffronto necessario fatto con altre persone. Convivio di Giuliana Cobalchini nasce da un bisogno sentito quello di parlare, di sedersi e mettersi a confronto, di discutere e lasciare il tempo necessario per poter assorbire le parole, per dar voce ai pensieri e per far si che un punto di ritrovo dove discutere sia la vera forma d’arte alla quale l’artista si presta.
Tra installazione e performance artistica chi è chiamato a partecipare in maniera attiva è il pubblico invitato a sedersi, a guardarsi negli occhi e parlare, magari stimolato da un argomento tratto direttamente dal passato come un vecchio filmato di un dibattito televisivo, un documentario, una voce, un suono senza tempo, un’immagine. L’artista, attraverso le sue opere d’arte, diventa il mezzo per un banchetto cui nutrire l’anima e condividere con gli altri parole, pensieri e idee che in altri momenti e occasioni non avrebbero voce trovandosi senza gli spazi adeguati per la diffusione e l’incontro. Il cuore pulsante della mostra Convivio scaturisce appunto da un’esigenza all’interno di un luogo e di un confronto tra gli artisti e tra le persone con la voglia di congregazione con lo scopo di divulgare le iterazioni e i pensieri tra i partecipanti invitati al convivio. È un esempio che parte da lontano, dal simposio dei Greci e dei Romani in cui la pratica conviviale tra i commensali di un banchetto, era dedicato ai canti conviviali e a vari intrattenimenti come la recita dei carmi, le conversazioni, i giochi e le danze. Gli esempi letterari si ritrovano nel Simposio di Platone con un lungo discorso legato alla teoria su Eros (Amore) e nel Convivio di Dante Alighieri scritto nei primi anni dell’esilio, tra il 1304 e il 1307, con l’intento dell’autore di fornire sapienza a tutti coloro che, a causa di occupazioni familiari e civili, non hanno potuto dedicarsi agli studi. Le opere d’arte di Giuliana Cobalchini diventano quindi il pretesto per ricreare un simposio: nella tela si proiettano le immagini e i suoni e il centro dell’esposizione è formato dalle sedie create ex novo dall’artista, focus del convivio. Nell’installazione sono presentate tredici sedie bianche e nere alternate dalle linee essenziali e semplici che invitano ad accomodarsi, la particolarità è data dalla seduta trasparente dalla quale emergono degli aghi chirurgici a formare simboli e figure geometriche: triangoli, cerchi, quadrati, croci, frecce. L’effetto è straniante: lo spettatore è invitato a mettersi a proprio agio su una sedia tutt’altro che attraente, dove la trasparenza del vetro e del plexiglass creano la sensazione del vuoto e la paura di cadere a terra è associata poi al dolore che potrebbero provocare gli aghi inseriti a formare un disegno, aghi che non vengono a diretto contatto con la persona, ma che la trasparenza accentua come un pericolo. Le sedie sono disposte in cerchio, in questo modo non esistono né un inizio né una fine, né capi né sottoposti. Il totale delle sedute è tredici, un numero che destabilizza l’armonia ciclica data dalle cose e che si ritrova invece, al contrario, nel numero dodici: 12 sono i mesi dell’anno, 12 i segni zodiacali e 12 erano gli Apostoli commensali dell’Ultima cena con Gesù, 12 i Cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù e, secondo la profezia del mago Merlino, soltanto il cavaliere che avrebbe ritrovato il Graal avrebbe potuto sedersi al tredicesimo posto. Con il 13 l’equilibrio si spezza e l’armonia visiva è ricondotta al dualismo delle sedie bianche e nere alternate lascia lo spazio ad un supposto caos di pura creazione, di ribellione agli schemi e alle regole dove diventa possibile il dialogo e comunicare diventa l’elemento imperante. Le farfalle-origami sono uno dei leitmotiv dell’arte di Giuliana Cobalchini, ritornano ad accompagnare l’osservatore, anche quando ne rimane solo una traccia mentale, un ricordo. Sono fluttuanti e delicate e diventano mimesi della realtà una volta dipinte sulla tela, sono il simbolo della trasformazione, indicano una metamorfosi di forme tra la vita e la morte, tra cambiamento e risveglio, tra luce e ombra. Il bianco e il nero dominano le composizioni di Giuliana Cobalchini, le sedie sulle quali gli spettatori si accomodano, indicano un pensiero, una presa di posizione duale, denotano la positività o la negatività, il sì e il no, il bene e il male, la luce e il buio. La tela Grande nido diventa il cuore visivo cui lo spettatore rivolge lo sguardo, sono invocati i sensi della vista e dell’udito nel Convivio proposto dall’artista: ci sono le immagini che riproducono la realtà, una mimesi di ciò che è il mondo esterno e ci sono i suoni delle voci e delle parole dei commensali che movimentano l’intero spazio. Il viaggio proposto è un inizio visivo e uditivo dal quale partire senza sapere dove si possa poi approdare perché tutto ciò che si presenta è una storia in divenire, è un cammino che si crea, con pazienza, all’interno del banchetto al quale si è invitati.
Le parole, le persone con le quali interfacciarsi, lo studio, le disquisizioni che prendono forma, tutto contribuisce al convivio che, col tempo, matura e si sviluppa, come accade nell’amore che ha bisogno di istanti per poter maturare e crescere così come decantato nelle parole di Dante: “…non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto, ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo ‘mpediscano, convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia intra lo pensiero del suo nutrimento e quello che li era contraro…”(Dante, Convivio, Trattato II, capitolo II, 3)
Ogni singolo filo, se intrecciato, crea una trama, così avviene per il nido, luogo di rifugio costruito per proteggere e farsi accogliente, pronto ad avvolgere e mostrare un posto sicuro nel quale vivere e crescere pronti per il dibattito futuro nella vita di ogni giorno. Nella tela Grande nido la trama difende e crea lo spazio, al centro il buio interno diventa uno schermo, dove proiettare immagini e filmati del passato, quel passato che ha contribuito a far crescere l’attuale presente e dove ci si è formati, si è cresciuti e ci si ritrova nell’oggi a continuare la discussione con nuove trame, nuove reti di tessuti sociali che scivolano dal ricordo e dalla memoria all’attuale mondo contemporaneo.
Quello che presenta Giuliana Cobalchini è un mondo fatto di elementi gravi e leggeri, dove sono chiamati in causa gli elementi primordiali e tanti artisti che hanno affrontato il concetto legato al bianco e nero nei movimenti del Suprematismo, dell’Astrattismo, dello Spazialismo e del Concettualismo e dove il colore e le forme sono diventate la forza espressiva ed emozionale legandosi a linguaggi e ricerche contemporanee da Kazimir Malevič a Wassily Kandinsky, da Alberto Burri a Jannis Kounellis, da Mark Rothko a Emilio Vedova, solo per portare alcuni esempi. Il percorso di Giuliana Cobalchini non si lega solo alla pittura, il suo è un linguaggio totalizzante che si apre con l’arte a nuovi percorsi di discussione, se il mondo dell’artista è dedicato al bianco e nero sono invece gli osservatori e gli spettatori attorno che, per mezzo della loro partecipazione, riescono a dar vita alle opere e creano il colore attraverso lo sguardo, per mezzo delle parole, legandosi tra loro e dibattendo in un convivio cui il mezzo è l’arte.
Il confronto tra le persone, le parole e il dialogo si snoda tra mille sfaccettature e sfumature di grigio addentrandosi poi nella realtà delle cose pensate, delle idee espresse, degli sguardi che si incrociano e dei suoni di voci che si mescolano in un convivio in cui si rompono gli equilibri, chiudendo per un attimo il mondo virtuale dei profili social network per parlare tra la gente, per reimparare ad osservare le immagini dal vero e non sullo schermo touch, arrivare a riscoprire come comunicare dal vivo, e ritornare a vedere, a sentire, questo lo scopo del simposio a cui si è invitati a partecipare con lo spazio reso fruibile alle persone che sentono la voglia e l’esigenza di pensare e dare così vita ad un banchetto di sapienza.
Il tramite di tutto ciò lo fa l’arte, qui per mezzo delle opere di Giuliana Cobalchini, dai voli fatti di leggerezza e di trasformazione con le immagini e le parole, fino alla delicatezza che nasce da un sussurro di un singolo che si trasforma nel grido di una folla. Le modalità di espressione artistica nel mondo coevo sono diverse e sono comunque sempre dettate dalla voglia di comunicare, di lasciare un segno tangibile all’uomo contemporaneo, ma che lancia a sua volta messaggi ai posteri.
La teoria che vede insito nel battito d’ali di una farfalla la generazione di un tornado dall’altra parte del mondo è sempre più vicina, sempre più concreta, basta un segno per scatenare un effetto.Oggi, qui, in questo luogo, in questo convivio si parla di arte, si fa arte e si comunica attraverso varie formule dalle immagini al video e l’installazione diventa performance, le parole si trasformano in un sistema che si diffonde sempre più fino all’unione della creazione in un banchetto che ci rende forse sazi, ma mai paghi.